"Mantieni le promesse, non voltare le spalle all'AIDS!"
"Mantieni le promesse, non voltare le spalle all'AIDS!"
Questo lo slogan della giornata mondiale contro l'AIDS, che è stata giovedì 1 dicembre.Purtroppo ci si dimentica di questa brutta malattia, i governi non fanno molto, lo si dà come un problema che non ci riguarda, come un problema solo dell'Africa o un problema di chi è malato/a!
Non è così! Tutti possiamo e dobbiamo fare qualcosa.Prevenzione, solidarietà, volontariato sono le parole d'ordine.
Ma vediamo più specificamente di cosa si tratta, cos'è questa malattia,come viene,cosa fare in caso di esito positivo del test e info sul test.
Tutto quello che segue l'ho preso dal sito della lila www.lila.it
Il virus HIV, Virus dell'Immunodeficienza Umana, è un retrovirus, cioè un virus a RNA, che attacca alcune cellule del sistema immunitario, principalmente i linfociti CD4, che sono importantissimi per la risposta immunitaria, indebolendo il sistema immunitario fino ad annullare la risposta contro virus, batteri, protozoi e funghi. La distruzione del sistema immunitario causa una sindrome che si chiama AIDS (o, in italiano, SIDA: Sindrome da Immuno Deficienza Acquisita). Una persona affetta da SIDA è maggiormente esposta alle infezioni.
Tuttavia le infezioni tipiche di questa sindrome sono solo una ventina distinte in:
- Infezioni da batteri e protozoi, tra cui sono frequenti: Pneumocistosi, una polmonite causata da un protozoo di nome Pneumocistis Carinii; Toxoplasmosi, causata dal Toxoplasma Gondii, un protozoo che colpisce il cervello, l'occhio e raramente il polmone; La Tubercolosi, causata dal bacillo di Koch.
- Infezioni da virus tra cui Herpes, infezione da CitoMegaloVirus e HHV-8.
- Tumori: Linfomi, tumori delle ghiandole linfatiche; Sarcoma di Kaposi.
- Infezioni micotiche tra cui è frequente l'infezione da Candida, un fungo che nelle persone immunodepresse si può sviluppare in bocca, nell'esofago e in altre parti del corpo.
Che differenza c'è tra sieropositività e AIDS?
Quali sono gli esami importanti per diagnosticare la malattia?
Quando una persona entra in contatto con l'HIV può diventare sieropositiva. Questo può verificarsi dopo un certo periodo, detto periodo finestra, che può durare fino a sei mesi.
Sieropositiva è una persona che presenta la positività alla ricerca di anticorpi dell'HIV nel siero.
Il test quindi non indica la presenza del virus, ma solo degli anticorpi specifici che il nostro sistema immunitario ha sviluppato dopo il contatto col virus. Se il test risulta negativo va comunque ripetuto allo scadere dei 6 mesi, calcolati a partire dall'ultimo episodio ritenuto a rischio. Un persona che risulta positiva al primo test, il test ELISA (Enzime Linked Immuno Sorbent Assay), viene sottoposta ad altri test di conferma, tra cui il Western Blot, più sicuro ma che non viene utilizzato come primo test per problemi di costi. Poi vengono effettuati test per valutare se e quanto il virus HIV ha danneggiato il sistema immunitario, tra cui fondamentale è la conta dei linfociti CD4.
È disponibile infine un esame molto significativo che misura la quantità di virus (copie di RNA virale) nel siero. Questo esame è fondamentale perché permette tra l'altro una verifica indiretta dell'efficacia dei farmaci antiretrovirali.
Esistono anche analisi sul genotipo e fenotipo virale, che servono a individuare i ceppi mutanti resistenti ai farmaci. È possibile effettuare questo esame in diversi ospedali e laboratori privati, convenzionati e no.
Se in una persona si ritrovano gravi danni al sistema immunitario e la presenza di infezioni opportunistiche, si diagnostica l'AIDS.
In realtà la distinzione tra sieropositività e AIDS conclamato si basa su criteri schematici. È nata negli Stati Uniti da esigenze assicurative. In alcuni casi si può stare meglio nella condizione di AIDS conclamato che in quella di sieropositività.
Come si trasmette l'infezione da HIV?
Il virus può essere presente oltre che nel sangue anche in altri liquidi biologici. In particolare nello sperma e nelle secrezioni vaginali l’HIV può essere presente in grande quantità.
L'infezione da HIV si trasmette in tre modi:
- Per via ematica.
Le trasfusioni di sangue infetto possono trasmettere il virus HIV. In Italia dal 1988 il sangue destinato a trasfusioni viene sottoposto a screening per il virus HIV.
Lo scambio di siringhe può trasmettere il virus HIV. Iniettarsi droghe con siringhe nuove non trasmette alcun virus, ma può portare a comportamenti a rischio come appunto lo scambio di siringhe.
- Per via sessuale, argomento trattato a seguire.
- Per via verticale.
La madre può trasmettere il virus HIV al figlio durante la gravidanza, al momento del parto o durante l'allattamento. La possibilità che questo avvenga si riduce fortemente se la madre è in terapia con antiretrovirali, fino ad essere meno del 10%. Il bambino non avendo anticorpi propri eredita gli anticorpi della madre, quindi può nascere sieropositivo, ma non avere il virus. In questo caso il bambino ritornerà sieronegativo durante i primi mesi di vita.
Studi recenti dimostrano una notevole riduzione di casi di trasmissione dell'HIV nel caso in cui la madre sia sottoposta ad idonea terapia durante la gravidanza e partorisca con parto cesareo.
Rapporti a rischio:
In quali tipi di rapporti sessuali si trasmette il virus HIV?
Il rapporto di penetrazione vaginale è a rischio.
Il preservativo, se utilizzato correttamente e dall'inizio del rapporto, protegge.
Il rapporto di penetrazione anale è a rischio. La mucosa anale è delicata e soggetta a lesioni, inoltre nel rapporto anale vi è meno lubrificazione, quindi maggior possibilità di frizione e conseguenti microtraumi.
Anche in questo caso il preservativo, usato correttamente, dall'inizio del rapporto e con un lubrificante adatto, protegge.
La fellatio, comportamento sessuale caratterizzato dalla stimolazione orale del pene (pompino), è a rischio.
Una persona sieropositiva che pratica la fellatio a una persona sieronegativa non rischia di trasmettere l'infezione. Il rischio si corre quando la persona cui è praticata la fellatio è sieropositiva.
Sulla possibilità di trasmissione dell'HIV attraverso la fellatio vi è comunque un dibattito tra chi considera questa pratica a rischio di trasmissione dell'HIV e chi sostiene che la possibilità è solo teorica (plausibilità biologica).
È comunque consigliabile praticare la fellatio con il preservativo, ma nel caso non lo si utilizzi è necessario evitare lo sperma in bocca.
Il cunnilingus, comportamento sessuale caratterizzato dalla stimolazione orale dell'organo genitale femminile è a rischio.
Le secrezioni vaginali possono contenere il virus HIV, pertanto esiste una possibilità (solamente teorica, perché nella realtà non esistono casi accertati) di trasmissione dell'infezione. Il cunnilingus è da evitare nel caso di mestruazioni.
L'utilizzo della diga interdentale o comunque di uno strato in lattice (che si può ottenere da un preservativo) applicato come barriera elimina il rischio.
L'anilingus, la stimolazione orale dell'ano (rimming) è una pratica considerata a rischio per altri tipi di infezione. Per proteggersi è consigliabile l'uso della diga.
Il fisting, cioè la penetrazione anale col pugno è considerata a rischio per la facilità di provocare lesioni attraverso le quali potrebbe passare il virus.
La pioggia dorata (golden shower) può essere pericolosa in presenza di sangue in quantità cospicua nelle urine.
L'HIV NON si trasmette
Nei contatti quotidiani. Nessun familiare di una persona sieropositiva è mai stato infettato. In caso di convivenza con una persona sieropositiva é sufficiente rispettare le comuni norme igieniche: non usare oggetti che possono entrare in contatto con il sangue, cioè spazzolini da denti e oggetti taglienti come forbici, rasoi, ecc.
Il virus HIV non si trasmette:
Abbracciandosi. L'atto di abbracciarsi e stringersi non trasmette l'infezione.
Accarezzandosi. L'HIV non si trasmette scambiandosi carezze.
Baciandosi. Non è mai stato segnalato un caso di contagio attraverso il bacio.
Masturbando il partner, a condizione che lo sperma o le secrezioni vaginali non vengano a contatto con ferite aperte.
Facendo il bagno o la doccia insieme.
L'utilizzo in comune di vibratori e altri oggetti di questo tipo è sicuro a condizione che si metta un preservativo sull'oggetto e lo si sostituisca ad ogni nuova penetrazione. Buona pratica è lavare il vibratore, o altro, in un disinfettante.
INFO AIDS
La nostra esperienza di persone sieropositive può esserti di aiuto
Se hai fatto il test e ti hanno comunicato un esito positivo, sicuramente ti sentirai sconvolto o sconvolta. Anche quando è successo a noi, la nostra prima reazione è stata soltanto un pensiero: “È tutto finito!”. Ma in seguito abbiamo capito che essere persone sieropositive non costituisce una condanna a morte. Come te, e come altre persone prima di noi, abbiamo attraversato questa esperienza vivendo momenti di sconforto. Ma ormai da molti anni sappiamo che è possibile convivere insieme al virus.
Incertezze
Forse ti stai chiedendo cosa significa realmente essere una persona sieropositiva all’HIV, se la malattia si svilupperà e quali saranno i suoi sintomi.
Dal punto di vista medico, essere positivi all’ HIV significa innanzitutto che hai sviluppato gli anticorpi al virus. L’esito positivo del test non vuol dire che ti ammalerai il mese prossimo, l’anno prossimo, o che ti ammalerai sicuramente.
Anche se la scoperta della sieropositività coincide con i primi sintomi della malattia, non ti devi disperare. Attualmente l’assunzione della terapia antiretrovirale, iniziata anche in fase avanzata di infezione, riesce a bloccarne e controllarne la progressione.
Forse ti stai chiedendo se essere una persona sieropositiva significa che non potrai più avere figli. Non è così: attualmente le terapie antiretrovirali e altre tecniche di fecondazione assistita permettono agli uomini e alle donne sieropositive di avere figli sani.
La tua salute
Una delle prime cose che dovresti fare dopo aver ricevuto un esito positivo è quella di recarti in un Centro Clinico con un reparto di Malattie Infettive, per una prima visita specialistica. Le persone con HIV sia sintomatiche che asintomatiche vengono seguite interamente a livello ambulatoriale ospedaliero sia per quanto riguarda gli esami diagnostici che le infezioni opportunistiche (cioè che si verificano a causa dell’abbassamento delle difese immunitarie) e la eventuale terapia antiretrovirale. Questa patologia ti dà diritto ad avere una esenzione totale dal ticket che ti permetterà di eseguire, gratuitamente, tutti i controlli e gli esami diagnostici riconducibili ad essa. La decisione di informare o meno il tuo medico di famiglia sul tuo stato sierologico spetta solo a te. Non tutti i medici di base sono aggiornati rispetto all’evoluzione continua dei dati riguardanti questa infezione; se però hai con lui o con lei un buon rapporto di fiducia, il suo supporto potrebbe esserti di aiuto. Anche verso gli altri specialisti, ad esempio i dentisti, non ti devi in nessun modo sentire in obbligo di comunicare la tua condizione. Per legge hanno l’obbligo di adottare norme igieniche generali che proteggono i medici e gli operatori sanitari dal rischio di contrarre infezioni, a prescindere dalla conoscenza dello stato sierologico di chi hanno davanti.
Queste norme sono importanti perché proteggono sia loro che te stesso dal rischio di contrarre nuove infezioni.
Il VIRUS
L’ HIV è il Virus della Immunodeficienza Umana che provoca la Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS oppure SIDA). L’HIV, che è stato isolato per la prima volta nel 1983, è un retrovirus che, come tale, può vivere, riprodursi e moltiplicarsi solamente all’interno di cellule umane vive. Quando entra nel corpo umano si replica soprattutto nelle cellule CD4 (Linfociti T) che utilizza per riprodursi, attaccando e indebolendo così il sistema immunitario. Mano a mano che il numero di cellule CD4 sane diminuisce, si riduce anche la capacità del sistema immunitario di difendere l’organismo e di tenere sotto controllo ogni infezione che lo minacci. Questa è la fase denominata di immunodeficienza acquisita. Nelle persone sieropositive l’infezione da HIV può progredire verso l’AIDS in tempi molto diversi, o non progredire affatto.
LA PRIMA VISITA
L’obiettivo della prima visita specialistica è quello di determinare in quale fase si trova la tua infezione da HIV. Per fare questo il medico ti prescriverà una serie di esami diagnostici che permetteranno di stabilire se la tua infezione è asintomatica, sintomatica, oppure in fase avanzata. La prima visita non è solo il punto di partenza nella valutazione del tuo stato di salute, ma anche l’inizio di una relazione tra te ed il medico che ti avrà in cura, che durerà per molti anni. È molto importante tentare di instaurare un buon rapporto con il proprio medico. Se questo per qualche motivo non è possibile, puoi sempre chiedere di essere seguito da un altro specialista o addirittura puoi cambiare Centro Clinico. È probabile che durante le prime visite tu ti senta frastornato o frastornata quanto basta da non capire fino in fondo quello che il medico ti comunica. Non ti scoraggiare, è capitato anche a noi ma, col tempo, abbiamo imparato che è molto importante chiedere ulteriori spiegazioni su tutto quello che non è chiaro, così come è fondamentale porre domande e risolvere ogni dubbio. Se non te la senti di andare da solo o da sola, puoi farti accompagnare da un amico, da un’amica o da un familiare.
GLI ESAMI DIAGNOSTICI
I più importanti esami diagnostici ti verranno effettuati tramite un prelievo di sangue. Questi esami prevedono, oltre che i test ematici completi, la conta dei CD4 ed il test della carica virale. Più precisamente:
- conta dei linfociti CD4, che permette di stabilire se è già in atto un danno al sistema immunitario. I CD4 fanno parte della famiglia dei globuli bianchi. Il conteggio dei CD4 è la misura del numero di CD4 che circolano in ogni millimetro cubo di sangue. Il numero medio di CD4 presente in un organismo sano oscilla tra i 600 /1200 per millilitro di sangue.
- carica virale o viremia o viral load o HIV-RNA
sono termini con lo stesso significato e indicano un test (PCR) che permette di capire quanto HIV circola nel sangue. La carica virale indica le copie di HIV-RNA circolanti per millilitro di sangue. Se la carica virale è rilevabile, vuole dire che il virus si sta replicando e sta attaccando i CD4. Se la carica virale non è rilevabile, vuole dire che in quel momento il virus non si sta replicando nel plasma. A seconda di quante copie di carica virale sono state rilevate è possibile stabilire quanto sia veloce la replicazione del virus. Gli esami ematici completi, il conteggio dei CD4 ed il test della carica virale sono esami che dovrai ripetere di routine per tutta la vita, generalmente ogni 3 o 4 mesi. Oltre a questo, durante la prima visita ci sarà una valutazione complessiva che comprenderà una visita medica accurata ed una anamnesi con tutte le informazioni relative anche alle malattie che hai avuto nel corso della tua vita. Altri test permetteranno di individuare se insieme all’HIV hai contratto qualche tipo di epatite virale. Se non hai mai avuto l’epatite A o la B dovresti prendere in considerazione l’opportunità di vaccinarti. Verrà inoltre effettuata una indagine su eventuali altre malattie sessualmente trasmissibili, sia in atto che pregresse. Così come verranno prese in considerazione anche le tue abitudini, come ad esempio se fumi, se assumi alcoolici e in che quantità, oppure se utilizzi altri tipi di sostanze. Benché l’utilizzo di droghe legali o illegali non precluda l’accesso alle cure e alle terapie a base di farmaci antiretrovirali, l’abuso di eroina, cocaina, ecstasy, anfetamine, ecc… potrebbe peggiorare la tua condizione immunitaria. L’abuso di alcool può provocare la carenza di elementi nutritivi importanti e potrebbe compromettere il funzionamento del fegato, organo attraverso il quale vengono metabolizzati i farmaci antiretrovirali.
Se sei una donna devi prestare un’attenzione particolare agli aspetti ginecologici. È importante che ti sforzi di avere un buon rapporto di continuità con un ginecologo o una ginecologa con esperienza in HIV che ti prescriva esami periodici. Puoi informarti dal tuo infettivologo perché spesso i reparti di malattie infettive hanno rapporti di collaborazione con ginecologi e ginecologhe con esperienza in HIV.
Emotività
Col tempo potrai verificare che vivere con l’HIV è una condizione che interessa le persone non soltanto da un punto di vista sanitario ma investe anche la sfera affettiva, sessuale e relazionale. La lettura di questo opuscolo può aiutarti ad affrontare questa complessità. Dal punto di vista emozionale non esiste un “modo corretto” per reagire alla comunicazione della sieropositività ma certamente non è utile reprimere le proprie emozioni come se niente fosse accaduto. La tua vita da questo momento sarà differente. Adattarsi a vivere con l’HIV è un processo che può durare anche tutta la vita. Per questo, dopo il tuo esito positivo, è importante che tu tenga presente alcune considerazioni che ti possono aiutare a iniziare questo percorso. Prova a liberare tutte le emozioni che hai dentro di te come rabbia, tristezza, sconforto, impotenza, colpa o vergogna... dagli un tempo ed uno spazio di espressione. Riconoscerle è già un primo passo per riprendere il controllo della tua vita. È possibile che ti capiti di non provare niente di tutto questo e di non sentire nessuna emozione: anche questa è una reazione normale che vedrai mutare col tempo. Tieni presente che il test positivo non equivale ad una sentenza di morte. Prendere decisioni importanti e affrettate che possono cambiare la tua vita, contemporaneamente all’aver saputo di essere sieropositivo o sieropositiva, potrebbe portarti a fare scelte sbagliate. Concediti tempo per capire meglio la tua nuova condizione. Non lasciarti trascinare dal voler sapere tutto e subito riguardo all’ HIV. Cerca di selezionare le informazioni di cui hai bisogno veramente e che sono importanti per il presente che stai vivendo. Affronterai tutto il resto, i bisogni e le necessità future mano a mano che ti si presenteranno.
Ti può essere utile sapere che non devi affrontare tutto da solo o da sola. Chiedere aiuto e supporto ad associazioni di lotta all’AIDS ed alle persone sieropositive che ne fanno parte, può essere una valida opportunità per confrontarti con chi ha già vissuto questo momento.
Trasmissione
Ricorda che il virus è presente in grande concentrazione nel sangue, nello sperma, nel liquido amniotico, nel latte materno e, in concentrazione più bassa, nelle secrezioni vaginali: per questo si trasmette se tali liquidi biologici entrano nel circolo sanguigno dell’altra persona, attraverso contatti diretti o lesioni delle mucose. Ciò ti permette di individuare alcuni comportamenti che possono trasmettere l’HIV ad altre persone e che devi affrontare con le dovute precauzioni e altri comportamenti che invece non sono a rischio di trasmissione.
Per prevenire il rischio di trasmissione:
Nei rapporti sessuali penetrativi utilizza sempre il preservativo e nel caso di rapporti anali, anche un lubrificante a base d’acqua. Nei rapporti orali non è così facile darti indicazioni univoche, in quanto non esistono parametri o statistiche che individuino esattamente il grado di rischio che questa pratica comporta.
La stimolazione orale del pene (fellatio) è considerata a basso rischio se non c’è contatto tra lo sperma e le mucose della bocca. Nel caso in cui ci sia il contatto, il rischio riguarda la persona che pratica la fellatio. L’uso del preservativo esclude il contatto tra lo sperma e le mucose: qualora si decida di non utilizzare il preservativo, bisogna evitare l’eiaculazione in bocca.
La stimolazione orale della vagina (cunnilungus), è un comportamento considerato a basso rischio perché le secrezioni vaginali contengono una ridotta quantità di virus. Il rischio aumenta durante il ciclo mestruale. Anche in questo caso il rischio riguarda la persona che pratica il cunnilingus. Nei rapporti bocca-vagina, la funzione del preservativo può essere svolta da un foglio di pellicola trasparente per alimenti.
Iniettarsi una qualsiasi sostanza con un ago usato da un’altra persona è il modo più diretto per la trasmissione del virus e, per questa ragione, se fai uso di sostanze per via iniettiva non permettere a nessuno di utilizzare la siringa già usata da te e non usare la siringa usata da altri. Anche lo scambio del rasoio o di altri oggetti taglienti di uso personale può essere causa di infezione: è quindi opportuno non scambiarsi questi oggetti.
È importante sapere che il virus può essere trasmesso dalla madre sieropositiva al feto durante la gravidanza, durante il parto, o attraverso l’ allattamento. Tuttavia attualmente la profilassi per la trasmissione maternofetale permette di ridurre notevolmente questo rischio.
Se hai una storia d’amore
Prenditi il tempo di cui hai bisogno per dirlo alla persona che ami. Scegli con cura il momento e le parole giuste. Ricordati che anche per il tuo o la tua partner non sarà semplice accettare questa nuova realtà, come non lo è stato o non lo è per te. D’ora in avanti, nei vostri rapporti sessuali penetrativi, usate sempre il preservativo anche se fino ad oggi non l’avete mai utilizzato: non si tratta di un muro tra di voi, ma di un atto d’amore verso te stesso e verso la persona che ami. Se entrambi siete sieropositivi usatelo ugualmente per evitare una possibile re-infezione. Una nuova re-infezione potrebbe peggiorare le tue condizioni di salute o quelle del tuo o della tua partner o di entrambi oppure potreste re-infettarvi con ceppi di virus già resistenti ai farmaci attualmente a disposizione. Può anche accadere che il partner o la partner inizi a vivere alcune angosce che possono condizionare il rapporto sul piano sessuale. In questo caso si tratta di trovare insieme delle soluzioni. A volte può essere utile parlarne con un amico o un’amica ma tieni presente che davanti a questa situazione, potrebbero reagire in modo negativo: forse hanno dei preconcetti o non riescono ad affrontare le loro paure. Concedi loro un po’ di tempo e cerca di accettare e comprendere le reazioni di chi ti sta vicino.
SE HAI RAPPORTI OCCASIONALI
Se hai rapporti occasionali l’uso del preservativo evita qualsiasi rischio di contagio.
Conosci i tuoi diritti
Nei consueti rapporti sociali, rifletti bene per decidere a chi vuoi e puoi parlare della tua sieropositività. Soprattutto devi sapere che non hai nessun vincolo legale che ti obblighi a comunicare la tua sieropositività ad altre persone (datore e colleghi di lavoro, autorità, medici) anche se qualcuno ti dirà il contrario. Purtroppo, il pregiudizio legato alla natura dell’ HIV ha voluto dire, per tante persone, essere costrette a nascondersi e subire discriminazioni. Per questo è stata varata nel 1990 la Legge 135, dove il legislatore ha sentito di dover affermare che lo stato di sieropositività non può essere di per sé motivo di licenziamento, che il test per l’HIV non può essere richiesto per le assunzioni, né svolto all’insaputa della persona interessata. Una legge che, sostanzialmente, ribadisce il diritto a non subire discriminazioni per motivi di salute e afferma il diritto al lavoro, alla scuola, alla gratuità delle cure. L’obbligo di prestazioni terapeutiche è previsto per tutte le strutture pubbliche ed il rifiuto o comunque la messa in atto di trattamenti discriminatori possono essere perseguiti per legge. Anche alle cittadine e ai cittadini stranieri non in regola con i permessi di ingresso e di soggiorno sono assicurate le prestazioni ambulatoriali e ospedaliere nei presidi pubblici accreditati; l’accesso a tali strutture non comporta alcun tipo di segnalazione all’autorità. La legge italiana tutela inoltre il diritto alla riservatezza dei dati personali, cioè il diritto di ogni persona a non vedere diffuse informazioni che la riguardano. In particolare, medici e operatori sanitari, notai, avvocati, consulenti tecnici e operatori dei SerT sono tenuti ad osservare il segreto professionale anche verso i tuoi familiari. Sia lo statuto dei lavoratori che la Legge 135/90 vietano tassativamente al datore di lavoro di compiere direttamente controlli atti ad accertare lo stato di salute del dipendente o della persona presa in considerazione per l’assunzione. Al pari di qualsiasi lavoratore malato, la persona sieropositiva o con AIDS o affetta da altre patologie correlate non può essere licenziata durante la malattia, se non dopo che sia decorso il termine massimo previsto (periodo di comporto), stabilito nel contratto collettivo dei diversi settori. Se le tue condizioni di salute non sono buone e lo ritieni utile, puoi fare richiesta di riconoscimento di invalidità civile. La domanda e la relativa documentazione vanno inoltrati alla ASL di residenza. Per maggiori informazioni sulla procedura e sui possibili vantaggi nell’intraprendere questa strada, non esitare a rivolgerti alle associazioni di volontariato o ai patronati sindacali. Anche in questo caso la riservatezza è tutelata dalla legge.
Non lasciarti intimidire nell’incontro con le istituzioni: chiedere è un tuo diritto e darti una risposta è un loro dovere.
Terapie
Conoscere lo stato di salute del tuo sistema immunitario è strettamente necessario per valutare se è il caso di iniziare ad assumere la terapia antiretrovirale. I trattamenti per l’infezione da HIV sono terapie combinate che utilizzano l’uso contemporaneo di 3 o più farmaci antiretrovirali. Viene anche chiamata “triplice” o HAART (Highly Active Anti-Retroviral Therapy) in italiano TARV. I farmaci utilizzati nella terapia combinata hanno meccanismi di azione differenti fra loro ed agiscono su fasi differenti della replicazione virale. Per questo motivo si dividono in “classi”. Attualmente sono disponibili diverse combinazioni terapeutiche di diverse classi di farmaci da utilizzare a seconda delle specifiche esigenze. La HAART permette di tenere sotto controllo la replicazione virale e quindi di ripristinare la funzionalità del sistema immunitario. Assumere tutti i giorni il trattamento ed assumerlo correttamente anche nel caso che il numero di CD4 sia molto basso, permette di recuperare ed aumentare il livello dei CD4 necessario a combattere e sconfiggere la maggior parte delle infezioni opportunistiche. Una corretta aderenza alla prescrizione farmacologica è essenziale e significa assumere più farmaci tutti i giorni ad orari precisi. In caso di non corretta aderenza potresti addirittura peggiorare la situazione contribuendo a rendere il tuo virus resistente alle terapie che stai assumendo e ciò potrebbe anche compromettere le tue opzioni terapeutiche future.
È bene tu sappia che:
la terapia combinata non guarisce l’infezione da HIV, ma può ridurre la quantità di virus circolante nel sangue.
la terapia combinata non permette di tornare sieronegativi o sieronegative, in quanto il virus rimane nell’organismo (anche se hai la carica virale negativa) e rimane quindi il rischio di trasmetterlo attraverso rapporti sessuali non protetti o attraverso lo scambio di siringhe.
uno dei benefici delle terapie combinate è quello di ridurre la progressione verso l’AIDS.
QUANDO INIZIARE IL TRATTAMENTO
Questo è un argomento che tu ed il tuo medico dovreste discutere assieme. Sei tu che devi assumere i farmaci, ed è quindi tua la scelta se iniziare e quando, valutando assieme a lui i pro e i contro della terapia antiretrovirale, prima di prendere una decisione.
• Chiedi al tuo medico di spiegarti bene e con franchezza quali sono le caratteristiche dei farmaci che dovrai utilizzare, informandoti anche sugli eventuali effetti indesiderati. Collabora con il tuo medico alla scelta di una terapia che si adatti il più possibile al tuo stile di vita.
• Se sei in terapia con metadone considera che alcuni farmaci interagiscono riducendone, a volte, il livello di efficacia. In questo caso informa il tuo medico o il SerT per aggiustare i dosaggi.
• Decidi di accettare la terapia solo dopo aver capito bene cosa ti comporterà. Ciò è particolarmente importante se hai ricevuto da poco la notizia di essere sieropositivo o sieropositiva.
• Prenditi il tempo necessario. Fai tutte le domande possibili, rivolgendoti anche alle associazioni che si occupano di HIV e agli attivisti e attiviste che ne fanno parte, fino a che non sarai soddisfatto o soddisfatta delle risposte.
Le sperimentazioni cliniche condotte fino ad oggi hanno permesso di redigere delle linee guida internazionali che raccomandano di iniziare il trattamento prima che i CD4 scendano sotto i 200, generalmente tra i 350 e i 200. Quando i CD4 scendono da 200 sotto i 100 aumenta il rischio di sviluppare malattie, anche molto gravi. Un numero di CD4 bassi non significa che ti ammalerai di sicuro, significa solo che è più probabile che ciò avvenga. Se iniziare il trattamento ti spaventa, dovresti considerare che l’AIDS è tuttora una malattia in grado di mettere in serio pericolo la tua vita. Molte sperimentazioni hanno dimostrato che le donne sieropositive possono essere trattate anche in corso di gravidanza. Inoltre le linee guida per la prevenzione della trasmissione materno-fetale dell’infezione da HIV prevedono: la terapia antiretrovirale in gravidanza, il taglio cesareo elettivo prima che inizi il travaglio, la profilassi antiretrovirale al neonato e l’allattamento artificiale.
Queste raccomandazioni permettono di ridurre quasi a zero il rischio di trasmettere l’infezione al nascituro.
chiamaci
Presso molte delle sedi Lila sono attive delle info-line in grado di rispondere a molti quesiti che l’HIV/AIDS ti pone.
Non esitare a contattarci: la nostra esperienza è a tua disposizione per aiutarti ad affrontare il tuo esito positivo.
In particolare, per quanto riguarda i trattamenti:
Lila Bologna: tutti i mercoledì dalle 18,30 alle 20 al 051.6350025 info@lilabologna.it
Lila Milano: un medico infettivologo risponde il martedì dalle 17,30 alle 21,00 al 02.58103515 infoaids@lilamilano.it
Cos'è il test
Il test consiste in un normale prelievo di sangue che, analizzato, diagnostica la presenza o meno dell'infezione da Hiv.
È articolato in due livelli: l'Elisa, test di I livello, cui segue, in caso di esito positivo o dubbio, il Western Blot (wb), di II livello o di conferma, l'unico in grado di conferire la totale certezza del risultato.
Il test serve a rilevare la presenza nel sangue degli anticorpi anti-Hiv, che si sviluppano solo se la persona che fa il test è venuta in contatto con il virus.
Il risultato del test è positivo se si riscontra la presenza di anticorpi contro il virus (sieropositività all'Hiv), è negativo quando nel sangue non vi è traccia degli anticorpi (sieronegatività all'Hiv).
Devi sapere che il periodo di formazione degli anticorpi anti-Hiv può variare da un minimo di qualche settimana fino a 6 mesi dopo che si è venuti a contatto col virus.
Questo arco di tempo è chiamato periodo finestra. Ciò significa che una persona, pur risultando negativa al test in quanto non ha ancora sviluppato gli anticorpi, può avere già contratto l'infezione e quindi può trasmettere ad altri il virus.
Ripeti dunque il test dopo che sia trascorso il periodo finestra.
Il test per l'Hiv verifica solo la presenza o meno degli anticorpi al virus, ma non da nessuna informazione sullo stato di salute e sul sistema immunitario.
Il test non ha valore di prevenzione: qualsiasi sia l'esito, i comportamenti da adottare sono gli stessi (rapporti sessuali sicuri e non utilizzare in comune oggetti taglienti e siringhe).
Accesso al test
Puoi effettuare il test per l'Hiv, in forma gratuita, presso le Unità Operative Aids delle Asl.
Le modalità di accesso cambiano di struttura in struttura: generalmente non è richiesta l'impegnativa del medico di base e basta presentarsi direttamente presso le Unità Opertative. In alcune strutture è necessario invece prenotarsi.
Il test è volontario
Non puoi essere sottoposto, senza il tuo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l'infezione da Hiv, se non per motivi di necessità clinica nei tuoi interessi.
Il test è assolutamente volontario e, perché venga eseguito, è necessario il tuo consenso esplicito, dopo esser stato informato delle caratteristiche del test (che cos'è, come funziona, che cosa significa seriopositività, cosa vuol dire invece Aids).
Anche in caso di ricovero ospedaliero il test non può essere effettuato a tua insaputa, ma solo con il tuo consenso scritto.
Può capitare infatti che al momento di un ricovero tu sottoscriva un foglio in cui affermi di accettare tutti i trattamenti ai quali verrai sottoposto, ma questo non avrà valore legale se per ciascuno dei trattamenti, e quindi anche per il test, non sia stata data una specifica autorizzazione.
La decisione di fare il test è solo tua: prendi il tempo che ti occorre per affrontarlo serenamente. Sappi che una diagnosi precoce potrebbe consentirti più scelta nel valutare un percorso terapeutico.
La tutela dell'anonimato e della riservatezza
Quando decidi di fare il test hai il diritto di chiedere che sia garantita la tutela della tua privacy.
I servizi preposti effettuano il test in forma anonima o in forma riservata.
Test anonimo: quando non viene richiesto alcun documento personale, ma viene utilizzato un codice criptato per la tua identificazione.
Test riservato: al momento dell'effettuazione o del ritiro dei risultati, è necessario che tu esibisca agli operatori un documento identificativo.
Per tutti i tuoi dati anagrafici (nome, cognome, sesso, data di nascita, comune di residenza e indirizzo completo) che verranno richiesti al momento del test, sia nei laboratori pubblici che privati, il personale sanitario è vincolato dal segreto professionale e d'ufficio e deve adottare tutte le misure di sicurezza necessarie a garantirne la massima riservatezza.
La tua identità ed ogni informazione riguardante l'esecuzione ed il risultato dell'esame non possono essere in nessun caso divulgate.
La comunicazione dei risultati
Il momento della comunicazione del risultato del test è sicuramente tra i più delicati.
È dunque compito di chi comunica il risultato fornire un adeguato sostegno psicologico.
Il counselling si effettua generalmente sia prima che dopo il test e mira tra l'altro a comprendere se sei stato realmente esposto a rischio di infezione e ad informarti correttamente sui comportamenti sicuri.
Il risultato dovrà essere consegnato esclusivamente a te che hai effettuato il test e la comunicazione non deve avvenire mai per lettera o per telefono.
Puoi eventualmente autorizzare il medico a riferire ad altre persone da te indicate il risultato. Questa autorizzazione deve essere data sempre per iscritto.
Domande & Risposte
Quanto costa il test?
Il test, nelle strutture pubbliche, è del tutto gratuito.
È possibile che il test venga effettuato senza il mio consenso?
Assolutamente no, il test è volontario ed è comunque necessario il tuo consenso esplicito ed informato. È possibile soltanto nel caso di persona incapace di intendere e volere per la quale sia applicabile il Trattamento Sanitario Obbligatorio (Tso). Il Tso è regolato dalla legge ed è disposto dal Sindaco su proposta motivata di un medico ed è diretto alla cura e alla prevenzione di malattie.
Il test può essere disposto a fini sperimentali?
Assolutamente no, inoltre non può neanche essere basato su motivi e finalità politiche, razziali o comunque estranei alla cura di malattie nel tuo interesse e della colletività.
Cosa prevede la legge nel caso in cui io sia minorenne e decida di fare il test?
In questo caso la legge prevede che il consenso sia a carico dei tuoi genitori o di chi esercita la patria potestà. Se desideri comunque, e con motivate cause, non comunicare ai genitori la decisione di fare il test, la prassi é quella di prendere in considerazione la tua richiesta se hai più di 14 anni. Se dopo attento colloquio verrà effettuato il test, questa decisione sarà comunicata con le motivazioni al Tribunale dei minorenni. Se sei minorenne e sposato, non hai bisogno del consenso di altri per effettuare il test.
Il datore di lavoro può chiedemi di sottopormi al test?
No, ciò è vietato dalla legge, così come ogni altro accertamento sul tuo stato di salute.
Inoltre la Lila dice...
Premessa
Il numero delle persone che vivono con l’Hiv/Aids continua ad aumentare: da 35 milioni nel 2001 siamo passati a 38 milioni nel 2003, sino a raggiungere i 40,3 milioni nel 2005. Si stima che oggi gli adulti sieropositivi siano 38 milioni (17,5 milioni sono donne), di cui la maggioranza risiede in paesi con risorse economiche limitate. Fin dagli inizi della pandemia il numero delle donne affette da Hiv/Aids è in crescita costante, anno dopo anno, per ragioni che si possono ricondurre a una maggiore suscettibilità a contrarre il virus HIV per via eterosessuale, a una minor capacità di contrattazione rispetto a pratiche di sesso sicuro, anche all’interno del nucleo familiare, all’essere spesso vittime di violenze anche domestiche, alle minori risorse economiche a disposizione, a una più bassa scolarizzazione e all’avere un accesso ai servizi sanitari minore rispetto a quello degli uomini.
Sempre nel 2005, circa 3 milioni di persone sono morte di Aids e 4,9 milioni sono state le nuove infezioni. Da quando la malattia è stata identificata, nel 1981, sono morte oltre 25 milioni di persone.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che nei paesi in via di sviluppo le persone che necessitano di un trattamento antiretrovirale - vale a dire una combinazione di almeno tre farmaci in grado di inibire la replicazione del virus Hiv - siano almeno 6 milioni. Di questi, però, solo una minoranza può accedere alla terapia, mentre nei paesi industrializzati l’accesso generalizzato ai farmaci ha ridotto i tassi di mortalità dell’80%.
Il 1° dicembre, come ogni anno, si rinnova l’attenzione su scala mondiale al problema Hiv/Aids: ancora un aumento del numero delle infezioni e delle morti a fronte di una difficile e complessa strategia di interventi che ha come comune denominatore l’intenzione di sconfiggere il dilagare dell’epidemia. Ma che cosa si sta realmente facendo, quali sono le azioni concrete dei governi sulla base di dichiarazioni di intenti nobili e condivisi?
L’istituzione più importante a livello internazionale nella lotta all'Aids, l’UNAIDS (Joint United Nations Programme on Hiv/Aids), lancia quest’anno un appello ai governi di tutti i paesi del mondo perché mantengano le promesse fatte e gli impegni presi:
“STOP AIDS. KEEP THE PROMISE”
di seguito a questo documento la traduzione della versione originale dell’UNAIDS
STOP AIDS. MANTIENI L’IMPEGNO!
In Italia più che di promesse non mantenute alle quali appellarci, vista la totale inversione di tendenza di investimenti nella risoluzione di un problema sempre presente, non ci resta che chiedere alle Istituzioni e soprattutto alla classe politica di qualunque “colore” essa sia di MANTENERE L’IMPEGNO nella lotta all’Aids pensando a una strategia nazionale condivisa soprattutto con la società civile e le parti sociali (associazioni, amministrazioni locali, enti pubblici e privati) che da anni sono attive per combattere il vuoto di informazione e di sostegno alla popolazione che trova ancora difficoltà nell’accedere ai Servizi.
Se è vero che si è fatto molto sul fronte della ricerca tecnico-scientifica permettendo alle persone sieropositive di accedere ai trattamenti farmacologici disponibili in Italia dal 1996 e quindi di migliorare le aspettative di vita, rimane preoccupante il calo di attenzione agli aspetti sociali e psicologici che pericolosamente lasciano aperte questioni ancora legate all’imbarazzo e ai tabù nell’affrontare il tema Aids e sessualità: il tutto si traduce in paura, disinformazione, emarginazione e discriminazione e inevitabilmente in nuove infezioni.
Dati COA
A conferma di ciò ogni anno il bollettino del COA (Centro Operativo Aids) dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità) riporta una continua crescita di infezioni:
Nel primo semestre del 2005 in Italia sono stati notificati 789 nuovi casi di Aids: 443 diagnosticati solo nel primo semestre 2005, gli altri nei mesi precedenti; in particolare di questi 443 ben 171 li troviamo in Lombardia, 47 in Emilia Romagna, 34 in Toscana, 24 in Veneto, ecc. fino alla Valle d’Aosta e al Molise dove non si sono registrati nuovi casi.
Dal 1982, anno della prima diagnosi di Aids nel nostro paese, a giugno 2005 sono stati notificati 55.286 casi di malattia conclamata con una distribuzione sul territorio nazionale che vede la Lombardia al primo posto con 16.723, poi il Lazio con 7.217 e a seguire l’Emilia-Romagna con 5.369, il Piemonte con 3.685 e via via le altre regioni fino al Molise con 44 casi di Aids.
I dati mostrano anche un aumento dei casi attribuibili alla trasmissione sessuale, sia omosessuale che eterosessuale. Infatti, le caratteristiche di coloro che acquisiscono l’infezione oggi sono completamente diverse da quelle di 10 o 20 anni fa quando lo scambio di siringhe tra le persone tossicodipendenti era il maggior veicolo di propagazione del virus. Inoltre, come nel resto del mondo, anche in Italia il numero delle donne sieropositive è in crescita.
Dati del Centralino telefonico LILA (2004 + primo semestre 2005)
I centralini telefonici della LILA, 17 sparsi su tutto il territorio nazionale, continuano la loro opera di informazione e sensibilizzazione rispondendo a domande di ogni tipo e confrontandosi, giornalmente, con mille richieste e mille quesiti tra i più disparati.
Risposte tese a ridurre l’ansia, a togliere dubbi, a rompere dinamiche comunicative parziali e non scientifiche che causano allarmismi e incidono pesantemente sul mantenimento dei pregiudizi che colpiscono le persone sieropositive.
Profilo dell’utenza
Per quanto riguarda il 2004, sono stati in prevalenza gli uomini a chiamare (77%) rispetto alle donne (23%).
Sul totale delle chiamate che sono arrivate ai nostri centralini, il 31,5% sono state fatte da persone che hanno detto di essere sieropositive mentre il 16,7% ha dichiarato di essere sieronegativo. Il restante 51,8% non ha comunicato il suo stato sierologico, né è stato possibile desumerlo dalla conversazione.
Rispetto al totale delle chiamate in cui viene dichiarata la propria sieropositività, per il 35% si tratta di donne, mentre il restante 65% è composto da uomini.
Cosa ci chiedono
Il 43,7% di chi ci chiama vuole avere informazioni sul rischio di contagio e in particolare sul rischio riferito ai comportamenti sessuali. Chiede spesso informazioni (siamo a quasi la metà delle chiamate) su argomenti che dovrebbe già sapere, perché questa epidemia è presente da oltre vent’anni e - dal 1990 a oggi - sono state spese cifre ingenti da parte dei vari Ministri per finanziare campagne nazionali di informazione: evidentemente con scarsi risultati.
Il 6% circa delle persone che chiamano hanno ancora in mente l’idea che il bacio possa essere a rischio e, se di per sé la cosa può far sorridere, assume in realtà toni assai gravi se si pensa quali livelli di discriminazione e di intolleranza può produrre una simile convinzione. Se, come abbiamo registrato, il 17% delle telefonate ci chiede di fugare i dubbi rispetto al rischio in caso si masturbazione reciproca, allora vuol dire che in Italia siamo lontanissimi dall’aver dato alla popolazione una corretta informazione, come invece vorrebbero farci credere le istituzioni nazionali e locali.
A tutt’oggi il 27,6% delle persone che chiama vuole approfondire le informazioni sul test e sul periodo finestra perché non ha chiaro cosa fare, dove rivolgersi, a chi chiedere informazioni; non ci si deve stupire quindi se l’ISS ci dice che più del 60% dei nuovi casi di Aids sono rappresentati da persone che scoprono nello stesso momento la propria sieropositività e la diagnosi di Aids. Se le campagne fino a oggi proposte su scala nazionale hanno confuso gli affetti con la prevenzione all’Aids e hanno mantenuto vivo il pensiero che, in fondo, chi se lo prende è perché “se lo è andato a cercare”, non possiamo meravigliarci del risultato a cui è giunto lo studio I.CO.NA. (Italian Cohort Naive Antiretrovirals) secondo il quale la trasmissione oggi avviene - nella maggior parte dei casi - in famiglia.
Quando ci chiamano, le donne sembrano essere più informate rispetto agli uomini, ma è significativo rilevare che soltanto il 23% delle chiamate sente una voce di donna che le risponde.
Inoltre l’informazione che le donne ricevono è ancor più difficile da comprendere, perché è tutta declinata al maschile e non c’è nessun servizio, nemmeno quelli che si definiscono dedicati, che adatti quell’informazione al loro corpo, alle loro pratiche sessuali, alla necessità di tutela che una sessualità penetrativa imporrebbe di adottare.
Le donne che ci chiamano sono infatti le donne sieropositive perché spesso si sentono ancor più sole, isolate e discriminate degli uomini.
Cosa ci dicono
In generale, possiamo dire che il 38% delle telefonate riguardanti il rischio di contagio sono frutto di timori immotivati che derivano da una errata percezione del rischio. Ciò può avere almeno due cause: una sicuramente riconducibile a una cattiva informazione che non aiuta il singolo a percepire il pericolo reale; l’altra è invece legata a una modalità cognitiva “selettiva” che porta alcune persone a percepire solo le informazioni che confermano le proprie paure. Ad esempio questi soggetti spesso diffidano delle informazioni dei media e screditano quelle che l’operatore o l’operatrice sta fornendo loro (“… sì ma se poi si scopre che il bacio è pericoloso?…”).
Questo tipo di atteggiamento, più diffuso di quanto si possa credere, è molto frequente in uomini sposati che si rimproverano per aver tradito la moglie o per aver avuto rapporti sessuali con una prostituta o con una trans. Nel 12,3% dei casi ci chiamano spaventati, anche se ci riferiscono di rapporti avuti con prostitute con cui hanno usato il preservativo in maniera corretta e senza che questo si sia rotto. Oppure, come accade nel 32,5% dei casi, esprimono ansia per aver “ricevuto” un rapporto orale da una persona che non è la loro moglie.
Sono situazioni che possono apparire paradossali ma che raccontano di un disagio diffuso in cui ancora oggi vive buona parte della popolazione sessualmente attiva del nostro paese.
Campagne di comunicazione/prevenzione ministeriali
L’impegno nella lotta all’Aids non può lasciare in secondo piano campagne di comunicazione efficaci volte a sensibilizzare la popolazione sulle modalità di contagio per contenere l’infezione: fino a oggi contiamo pochissime iniziative nazionali ma soprattutto poco incisive sul piano della modifica dei comportamenti perché ancora legate a posizioni oscurantiste che non permettono di fare informazione corretta e laica parlando esplicitamente dell’importanza dell’uso del preservativo.
Le statistiche evidenziano chiaramente come la diffusione del virus Hiv avviene oggi per lo più attraverso il contagio per via sessuale e su questa evidenza non si può restare pericolosamente arroccati su posizioni moraliste comunicando alla popolazione quali scelte di vita sono più o meno pericolose: la castità e la fedeltà non sono principi realistici da consigliare se si vuole davvero incidere sulla modifica dei comportamenti a rischio tra la popolazione sessualmente attiva, specie nell’odierno contesto storico e culturale.
Il preservativo - insieme all’educazione sessuale e al controllo delle infezioni sessualmente trasmesse - è uno dei punti fondamentali delle campagne di informazione e prevenzione approvate dall’OMS in tutti i paesi del mondo: ma, mentre la maggior parte degli stati europei confeziona progetti di comunicazione parlando esplicitamente del profilattico, l’Italia sta ancora a guardare vincolata a scelte comunicative troppo influenzate da una cultura confessionale. Inoltre, l’alto costo dei condom è da sempre una barriera al suo utilizzo soprattutto da parte dei giovani.
Campagne mirate
Il linguaggio adottato non può tralasciare i targets specifici ai quali si rivolge: sono necessari accorgimenti particolari se la comunicazione sui comportamenti a rischio arriva alle donne piuttosto alle persone omosessuali, ai giovani o alle persone sieropositive. L'esperienza della LILA – da anni impegnata nella prevenzione dell'Hiv attraverso interventi specifici nelle scuole, nei locali notturni e in eventi esterni sul territorio – evidenzia come l'uso di un linguaggio mirato e consapevole delle abitudini dei destinatari (nel pieno rispetto di tutti gli orientamenti sessuali) sia uno strumento fondamentale per raggiungere gli scopi della comunicazione operata. Allo stesso modo le campagne di informazione nazionale dovrebbero tenere in grande considerazione questo aspetto. Che dire infatti della completa assenza, per esempio, di iniziative nazionali dirette agli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (MSM), come se questi milioni di persone non esistessero e i loro comportamenti non riguardassero istituzioni nate per tutelare la salute di tutti i cittadini e le cittadine al di là del loro orientamento sessuale.
Hiv e Donne
Anche per le donne i discorsi sulla prevenzione restano prigionieri di vecchie dicotomie: donne senza sessualità/uomini irresponsabili; donne senza desiderio/uomini incapaci di controllarlo. Vale a dire che ancor oggi la loro vita sessuale ha difficilmente diritto di cittadinanza e che le campagne di prevenzione già in partenza non si interessano né delle pratiche sessuali femminili né dei loro desideri, o – peggio - fanno una caricatura dei loro comportamenti.
In Italia è praticamente assente il profilattico femminile che, molto simile a quello maschile, è in lattice e deve essere inserito prima della penetrazione ogni volta che si ha un rapporto sessuale. Questo preservativo è disponibile nelle farmacie e nei consultori di molti paesi: in Brasile, per esempio, il governo lo distribuisce gratuitamente a tutte le donne che ne facciano richiesta; in Francia il governo, sollecitato dalle associazioni, ha lanciato una campagna specifica su questo prodotto e lo ha reso disponibile a prezzi accessibili. In Italia, invece, lo si può acquistare solo nei sexyshop, come se fosse un giocattolo sessuale e a prezzi molto alti (5 euro circa caduno), mentre dovrebbe essere considerato un’opzione in più per le donne che vogliono gestire in prima persona la propria protezione.
Commissione Nazionale Aids e Consulta del Volontariato
per i problemi dell’Aids
Una strategia nazionale efficace di lotta all’Aids non può dimenticare nessuno degli elementi sociali e psicologici del problema e per fare ciò il coinvolgimento di attori sociali impegnati in prima linea nella lotta all’Aids è di assoluta priorità. Questo aspetto è riconosciuto di vitale importanza da tutte le istituzioni internazionali, UNAIDS compresa, e a volte ribadito anche dal Ministero della Salute italiano, ma a fronte di ciò la realtà è ben differente. Il dialogo tra le istituzioni nazionali e la società civile è spesso assente, nei rari casi dove sussiste spesso è parziale e le posizioni differenti tra istituzioni e associazioni non riescono a trovare una corretta sintesi che produca poi un intervento lì dove è stato individuato il problema.
Nell’ormai lontano 1987 l’allora Ministro della Sanità istituì la Commissione Nazionale Aids che aveva come compito di fornire indicazioni, proposte, svolgere un’azione di coordinamento per contenere l’infezione. Inizialmente le finalità erano soprattutto l'emergenza organizzativa clinico-sanitaria e assistenziale legata all'Aids e ovviamente la sorveglianza epidemiologica. A fronte di ciò le professionalità chiamate in causa dal Ministro, in qualità di esperti del settore, sono sempre state medico-sanitarie. La totalità degli esperti comprende tuttora infettivologi, immunologi, virologi o esperti di sanità pubblica.
Oggi, dopo quasi vent’anni, considerato che alcuni obiettivi generali medico-organizzativi sono stati raggiunti ed è stato costituito un servizio di sorveglianza epidemiologica, crediamo che la funzione di questa commissione vada riconsiderata rispetto alle attuali priorità e modificata di conseguenza. Una corretta ed efficace prevenzione è sicuramente una priorità.
Sarebbe importante includere esperti di scienze umane tuttora assenti dalla commissione (con l’eccezione della sola psicologia). Sociologi, operatori in scienze dell’educazione e dei comportamenti, sessuologi, comunicatori potrebbero finalmente stimolare un piano di prevenzione efficace e diretto alle varie tipologie di popolazione e implementare i programmi di accesso ai servizi e alle cure per le popolazioni vulnerabili: persone con disagio economico e sociale, consumatori di sostanze illegali per via iniettiva, persone che si prostituiscono, persone detenute, migranti.
Irrisolta e insufficiente rimane la partecipazione della società civile alla commissione che vede una sola persona sieropositiva - nominata dal Ministro - come esperta in problematiche delle persone sieropositive.
La Consulta Nazionale del Volontariato per i problemi dell’AIDS, che dovrebbe essere un organismo parallelo alla Commissione e in contatto con essa, nel 2005 non è mai stata convocata dal Ministro lasciando presumere un vuoto istituzionale fino alle prossime elezioni politiche.
Chiediamo all’attuale Ministro un gesto concreto e tangibile di un impegno in materia di AIDS, di provvedere all’immediata ricostituzione, entro il mese di dicembre, della Consulta del Volontariato, incentivandone la collaborazione con la Commissione. Dal nostro punto di vista, una maggiore valorizzazione del lavoro della Consulta si rende oggi ancor più necessaria vista l’importanza che gli aspetti sociali e socio-assistenziali rivestono per le persone con Hiv/Aids. Nello specifico chiediamo:
- che le nomine di Commissione e Consulta avvengano contemporaneamente e per un periodo di due anni, in modo tale da consentire ai componenti una maggiore efficacia programmatoria;
- che il numero di componenti della Consulta chiamati a partecipare alle riunioni della Commissione Nazionale Aids sia portato a 4, in modo da migliorare la comunicazione e la collaborazione tra i due organismi.
Situazione carcere
Ancora un altro asse di fondamentale importanza per una presa in carico totale del problema Aids è la situazione delle persone detenute Hiv+ e in Aids all'interno del carcere.
Ancora oggi la legge 231/99 sull'incompatibilità tra Aids e carcere non viene rispettata, così molte persone ritenute incompatibili con la detenzione vengono recluse nei centri clinici all'interno del penitenziario senza però ricevere adeguata assistenza.
Allo stesso modo le persone sieropositive in terapia non trovano all'interno del luogo di detenzione l'accesso garantito ai farmaci antiretrovirali. Questa grave situazione si protrae da anni e poco si è fatto per garantire un adeguato stanziamento di fondi alla sanità carceraria, ma soprattutto non si è mai concluso l'iter legislativo (d.lgs 22/6799) che prevede il trasferimento delle funzioni sanitarie svolte dall'amministrazione carceraria al Servizio sanitario nazionale. Solo poche Regioni hanno avviato il percorso sperimentale in tale direzione mentre è invece necessario un impegno continuo e attento a livello nazionale.
Già nel 2003 la Consulta Nazionale Aids aveva sollevato questo problema, accolto e fatto proprio da ben 65 parlamentari con un'interpellanza al Ministro della salute e al Ministro di giustizia sulle condizioni di vita e di salute delle persone sieropositive in carcere. Le risposte concrete da parte del governo non sono mai arrivate se non continui tagli ai fondi per la sanità carceraria in occasione di ogni nuova finanziaria.
Riduzione del danno e consumo di sostanze
In questi ultimi vent’anni il consumo di sostanze è stato declinato prevalentemente con i paradigmi della patologia e della devianza. Se nei decenni passati le modalità di risposta sono state soprattutto di tipo sanitario, ultimamente è maggiormente condivisa una visione del problema non legata al riduzionismo biologico. Tale visione, centrata sulla soggettività del consumatore, cerca di coniugare i principi etici dell’autonomia e dell’autodeterminazione nell’ottica dell’alleanza terapeutica.
Quindi, il tema dei diritti, nella dimensione della loro concreta esigibilità, è divenuto tema centrale nelle politiche di inclusione sociale e piena cittadinanza.
Se è vero che la maggior parte delle infezioni avviene oggi attraverso il contagio sessuale - smontando finalmente il preconcetto di categorie a rischio - non si può però tralasciare la preoccupante situazione delle persone con problemi di dipendenza nel quadro dell'imbarazzante progetto governativo.
La proposta di legge Fini–Mantovano, che mira a reintrodurre il reato di consumo di droghe (abrogato nel 1993 da un referendum popolare che vinse con uno scarto superiore ai 10 punti percentuali), rappresenta un enorme rischio e va contrastata in ogni modo possibile, anche - e forse soprattutto - dal punto vista della diffusione dell’Aids. Il rischio è di precipitare nella situazione epidemiologica di quindici anni fa, ricreando un clima diffuso di stigmatizzazione e marginalizzazione ai massimi livelli nei confronti dei consumatori di droghe, costringendo sempre di più queste persone a nascondersi, evitando così i servizi e i progetti di intervento/prevenzione ed esponendosi così a rischi sempre più grandi.
Oltre a essere un problema di ordine politico, culturale e sociale questo è un grande pericolo anche dal punto di vista epidemiologico: i consumatori di droghe NON vivono sulla luna, bensì insieme al resto della popolazione. Contenere il virus Hiv nelle categorie più esposte significa contenerne la diffusione in tutta la popolazione. L’obiettivo è la tutela della salute pubblica e la via da seguire è quella attuata nel resto d’Europa, basata sul riscontro dell’evidenza scientifica.
Dobbiamo ripartire dalla strategia dei quattro pilastri – lotta al traffico, prevenzione, cura/riabilitazione, riduzione del danno – che l’Unione Europea propone e sperimenta da anni negli stati membri come unica strada percorribile, convalidata da centinaia di progetti, sperimentazioni, servizi e relazioni attivate in questi anni anche in Italia.
È folle voler appiattire tutto alla luce dell’ideologia che vuole trasformare tabelle scientifiche di sostanze psicoattive estremamente diverse – con pericolosità e controindicazioni diverse, elaborate per esigenze scientifiche, sanitarie e di trattamento – in categorie politiche funzionali alla condanna non solo dei comportamenti, ma anche delle persone. Parificare tutto, dall’eroina alla cannabis, dalla cocaina all’estasi, dal consumo occasionale a quello ripetuto e dipendente, dallo spaccio al consumo condiviso, ne è la conferma. La proposta generalizzata di pene pesanti e illogiche, a partire da un minimo di sei fino a vent’anni di carcere, punisce quasi allo stesso modo il giovane che sperimenta con gli amici una trasgressione, il tossicodipendente gravemente compromesso nel consumo, lo spacciatore di strada, il grande trafficante che ci specula.
Qualità della vita delle persone sieropositive
Un ultimo appello nel mantenere alto l'impegno per migliorare la situazione in Italia non può prescindere dall'attenzione alla qualità della vita delle persone sieropositive. Ancora oggi esistono disparità nell'accesso ai trattamenti farmacologici tra il nord e il sud del paese dettate da scelte aziendali sulla base di disponibilità di budget. Anche la possibilità di sottoporsi a esami diagnostici importanti e necessari all'individuazione della terapia idonea non è garantita in tutte le Regioni. Ancora, episodi di emarginazione e discriminazione in ambito lavorativo non sono stati cancellati del tutto dal vivere quotidiano. Le persone sieropositive quando si recano al di fuori dei reparti di Malattie Infettive, in ambulatori pubblici o privati o devono essere operate, sono spesso oggetto di discriminazione da parte di medici e di operatori sanitari, così come quando si recano dal dentista.
Siamo perfettamente coscienti di come non sia semplice debellare anni di ignoranza e disinformazione che ancor oggi persistono a danno delle persone sieropositive, ma le istituzioni non devono dimenticarsi che il prolungamento delle aspettative di vita comporta la possibilità di scelte importanti come per esempio quella di portare avanti una gravidanza.
Alla luce delle nuove attese di vita, della giovane età di molte persone sieropositive e della provata efficacia della profilassi materno-fetale nel ridurre la trasmissione da madre a nascituro, molte donne e uomini Hiv+ decidono di avere bambini. Tuttavia l’offerta di servizi di concepimento assistito e di riproduzione assistita per persone che vivono con l’Hiv è quasi assente dal territorio nazionale. Considerando l’importanza del tema della prevenzione sessuale nelle coppie sierodiscordanti (in cui una sola delle persone è sieropositiva) ed essendo l’Hiv un’infezione che si trasmette sessualmente, è ovvio che il concepimento per vie naturali ha in sé un rischio di trasmissione virale all’interno della coppia sierodiscordante che andrebbe evitato.
In Italia vi sono solo un paio di centri - tra strutture pubbliche e private - che riescono a dare una risposta alle coppie che decidono di concepire un bambino utilizzando la tecnica del lavaggio dello sperma, limitando quasi allo zero il rischio di contagio della partner sieronegativa. È invece importante costruire percorsi strutturati di invio a questi servizi ed è essenziale moltiplicare i centri, tenendo conto delle difficoltà di molte coppie ad affrontare le spese per la trasferta.
Una questione invece mai affrontata nel nostro paese è la situazione inversa, quando cioè è la donna a essere sieropositiva e necessiti di una fecondazione medicalmente assistita, operazione che nessun centro italiano offre.
A tale proposito ribadiamo l'appello a rivedere la già ampiamente discussa legge 40 del 2004 che non permette l'accesso alla fecondazione assistita per le coppie sieropositive che non sono in possesso del requisito accertato di sterilità (perché questo è requisito fondamentale per l'accesso alla sperimentazione).
“STOP AIDS. KEEP THE PROMISE”
traduzione della versione originale dell’UNAIDS
FERMIAMO L’AIDS
MANTENIAMO LE PROMESSE
Possiamo farlo?
MANTENERE LE PROMESSE
La ragione frequentemente addotta dalle istituzioni pubbliche per giustificare il mancato impulso alle iniziative di lotta all’Aids è la carenza di fondi. Secondo la Banca Asiatica di Sviluppo, tuttavia, i governi potrebbero benissimo incrementare i finanziamenti dedicati alle misure di controllo e riduzione dell’epidemia. Nel 2003 i finanziamenti erogati da enti pubblici e privati nella regione Asia-Pacifico sono ammontati a soli 200 milioni di dollari. I 5 miliardi di dollari all’anno, corrispondenti al valore massimo di finanziamenti necessari nel periodo 2007-2010, sono pari allo 0,2% del reddito registrato in quest’area nel 2001.
L’utilizzo delle risorse va ottimizzato evitando sprechi e inefficienze: in quasi tutti i paesi della regione l’epidemia non è generalizzata bensì concentrata su precisi gruppi sociali, ma le campagne finanziate si rivolgono all’intera popolazione.
Fermiamo l’Aids. Manteniamo le promesse. Tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite si sono accordati per raggiungere gli obiettivi definiti dall’UNGASS (Sessione Speciale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite sull'Infanzia) e gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG). È stato così? E che dire degli obiettivi nazionali? Si sono tradotte le promesse in interventi efficaci? Quest’anno, più che mai, dobbiamo fare di tutto per assicurare che le promesse vengano mantenute.
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L’epidemia dell’Aids rappresenta una tragedia per la salute e lo sviluppo. Nel mondo esistono 40 milioni di individui colpiti dall’infezione, dei quali 3 milioni infettati nel solo anno passato. Ciò si sarebbe potuto evitare: conosciamo a fondo la malattia e sappiamo quali sono gli strumenti utili o inutili a contrastarla. E allora, perché non si è agito per evitare il diffondersi del contagio? Perché l’incidenza continua a incrementare anziché ridursi? È necessario assumere un impegno reale a raggiungere degli obiettivi precisi, che aiutino a valutare i risultati conseguiti e a impostare gli interventi successivi.
Gli obiettivi fissati per la lotta all’Aids negli ultimi anni sono stati vari:
2000 - Obiettivi di Sviluppo del Millennio per invertire l’evoluzione dell’epidemia di Hiv/Aids;
2001 - Dichiarazione di Impegno dell’UNGASS, includente numerosi obiettivi;
2003 - Strategia “3 per 5” per accrescere l’impiego della terapia antiretrovirale entro il 2005.
Si è trattato di impegni preziosissimi, ma inutili se non verranno tradotti in interventi concreti. Il tema della Giornata mondiale della lotta all’AIDS nel 2005 – “Fermiamo l’Aids. Manteniamo le promesse” - costituisce un appello rivolto ai governi affinché mantengano la parola data, un richiamo all’assunzione di responsabilità. Si possono trarre delle lezioni utili da un esame attento degli interventi compiuti e delle carenze esistenti.
Esistono segnali crescenti che, mettendo in campo una volontà precisa e risorse sufficienti, si potrebbe invertire la tendenza dell’epidemia. Si può evitare che decine di milioni di nuovi individui contraggano l’infezione, la trasmettano ai loro cari e vadano poi incontro alla morte. Esiste una prospettiva diversa.
Ciò che serve è la volontà politica. Solo pochi paesi hanno attuato interventi efficaci mirati a evitare la diffusione del virus tra chi assume sostanze stupefacenti per via iniettiva, benché questo rappresenti uno dei principali meccanismi di trasmissione dell’infezione da Hiv in questa Regione. Spesso si assumono misure repressive di carattere punitivo, che però si sono dimostrate controproducenti. Ciò che serve per proteggere le fasce più vulnerabili sono coraggio e comprensione.
L’Aids è una malattia che riflette la tragicità delle condizioni sociali esistenti sul nostro pianeta: disuguaglianze profonde, fasce sociali emarginate, sistemi sanitari allo sfascio e politiche volte a tutelare il commercio anziché la vita. Affrontare l’epidemia richiede la ricerca di soluzioni a problemi che si trascinano da molto tempo, come la tossicodipendenza o la mancanza di autonomia per la donna. Ma è proprio qui che ci si apre una strada per cambiare le cose.
Si sta verificando una catastrofe sotto i nostri occhi. Modificare l’andamento dell’epidemia richiede un’azione coraggiosa e immediata, traducendo obiettivi ed impegni assunti in interventi precisi.
Letto ciò che ci dice la LILA, possiamo capire che si tratta di una peste, e chi ci dice che la peste oggi non esiste si sbaglia: AIDS, CANCRO, EPATITE B ed EPATITE C ,non sono forse peggio della peste?Non sarebbe meglio iniziare già nelle scuole a parlare di prevenzione?Non dovremmo impegnarci tutti e senza sosta per raggiungere gli obbiettivi del millennio?
La Vita è troppo preziosa per essere sprecata e va difesa dal suo concepimento fino anche a dopo la morte!
Ecco perché un impegno comune, la pressione sui nostri leader, il volontariato, la prevenzione sono un'arma troppo importante, l'unica che deve essere permessa ed usata, insieme al nostro cervello e alla nostra coscienza!
Perché non si può essere volontari,se prima non lo siè di se stessi!
Agnese Fiducia.
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